mercoledì 9 aprile 2014

La divina invasione: Philip K. Dick



Los Angeles
Marzo 1974

Il tecnico si picchiò un dito sul polso, poi si indicò la bocca.
Nella stanza regna il caos, sul pavimento lunghe file di fogli e la flebile luce della lampada segue la sua sagoma ricurva. Le sue mani si muovono sicure sulla tastiera.
Gli volto le spalle e raggiungo la camera accanto. Il mio bambino dorme sereno. Ormai non sente più il ticchettio della macchina da scrivere, quel suono lo conforta e ci annuncia che Lui è arrivato.
È lì, lo sentiamo e non ne abbiamo più paura.
Tutto è iniziato un mese fa. Philip venne da me e mi raccontò ogni cosa. Rimasi come lui: pietrificata. A contatto con la fantasia si finisce per essere sbalzati fuori dal mondo, lì, tra le sue realtà alternative.
Mi disse: Per noi… non può esistere un solo sistema. Perché tutti i sistemi esistono… e tutti sono manifestazioni della nostra paranoia. È per questo che dovremmo accontentarci del non senso, del contraddittorio, del contrario.
Gli credetti, ma a Metz nessuno si schierò dalla sua parte. Tutti lo osservavano come un caso patologico. Sottovoce lo chiamavano tossicomane, pazzo, alcolizzato. Dicevano che aveva chiacchiere senza ritegno e interesse soltanto per la sua cravatta.
Philip non badava alle voci. Aveva sempre vissuto in mezzo a gente che lo disprezzava. Un giorno mi disse: Sono convinto che il mondo sta saltando in aria e che l’uomo non è né cattivo né peccatore ma è spinto, quasi obbligato, a diventarlo.
In quel momento, credo, Lui sia venuto a fargli visita. Philip di colpo è diventato un altro, diverso, direi cambiato. Ha iniziato a parlarmi per ore della bellezza, mi ha spinto a cercare la gioia e ad assaporare la vita.
Mi ha preso completamente; sollevandomi dalle limitazioni della matrice spazio-temporale; mi domina, in ogni istante, rendendomi consapevole che il mondo che mi sta attorno è come una cartolina, un inganno.
Nonostante ciò, non smette di impensierirmi. Mi parla per ore della morte, mi vuol preparare a una sua scomparsa precoce, forse imminente, mi chiede ossessivamente se è arrivata una lettera che aspetta da tempo, mi sollecita ad ascoltare la radio. Dice di sentire invocare il suo nome. Io ascolto, ma non afferro alcun segnale. E intanto la radio continua a trasmettere una canzone e poi un’altra e un’altra ancora… finché non mi giro e vedo che la spina è staccata.
Mi ha detto: Il giovedì e il sabato ero convinto di avere a che fare con Dio, il martedì e il mercoledì con un essere extraterrestre…
Tutto è così terribilmente vero. Philip mi rassicura, dice che Lui non è cattivo, anzi. Lo strappo che si è venuto a creare nella realtà è l’unica possibilità che ci è offerta per vedere la meraviglia del creato. Così mi lascia lì, ai miei pensieri, e fa ritorno alle reti dei suoi mondi futuri. E mentre lo vedo scomparire dietro la porta, incontro un’ultima volta i suoi occhi alieni, quelli nei quali giace l’uomo che amai.

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