mercoledì 2 aprile 2014

IL SEGRETO DEL MANOSCRITTO DI VOYNICH



Collegio gesuita di Villa Mondragone
Frascati
1912
Mattino

Il vecchio collegio dei Padri Gesuiti era immerso nel silenzio. Una quercia secolare dipingeva una zona d’ombra sulla facciata del palazzo creando un suggestivo chiaroscuro. Il profumo della pace che si respirava nel cortile predisponeva l’animo alla contemplazione, finalmente incurante di ogni preoccupazione. Lì sarebbe stato perfetto perdersi per ritrovare se stessi o magari per rinvenire qualcosa di perduto.
Il tempo e l’usura avevano lasciato segni indelebili sugli intonaci e la penuria di denaro non faceva di certo sperare bene.
Padre Giuseppe Strickland aveva ragione, bisognava vendere. In quelle condizioni Dio li avrebbe perdonati.

Qualche tempo dopo
Mattino

“Il mattino ha l’oro in bocca”, aveva pensato Wilfred Voynich uscendo dalla vecchia biblioteca del collegio. La luce, filtrando dalla grande vetrata centrale, dipingeva splendide schegge d’oro lungo tutta la sala, sino ad illuminare gli immensi scaffali colmi di vecchi libri.
Finalmente l’aveva spuntata. Non era stato semplice. Padre Giuseppe aveva fama di essere un osso duro, ma se il fiuto l’aveva condotto fin lì, le parole non potevano non fare il resto.
Trenta libri del Collegio Romano!
Sì, non c’era nulla da eccepire, davvero un bel colpo!

Sera
Mancava un quarto alle venti e i rumori della locanda arrivavano ovattati su al primo piano.
Wilfred li aveva distesi sul letto sfiorando la ruvida pelle con la timorosa passione dell’amante insicuro.
Con gli occhi febbricitanti, prese in mano un ottavo. Piccoli ricami di nudi femminili, interluni e distese floreali incorniciavano le eleganti pagine, forse medievali.
Un piccolo triangolo ocra sporgeva sul fondo del volume. Con la mano tremante scorse velocemente le pagine fino ad arrivare alla conclusione. Il foglio, ripiegato e anch’esso rifinito con mirabile gusto, era nascosto tra le Pleiadi, lungo la costellazione del Toro.
Gli parve un buon segno e, pur avvertendo quel senso di inadeguatezza che solitamente pervade chi è in procinto di violare l’intimità altrui, iniziò a leggere.
Praga, 19 agosto 1666...
Il manoscritto era breve, poco più lunga di un dispaccio di cancelleria. Wilfred arrivò rapido in fondo alla pagina così come alacre si faceva sentire la stanchezza. Aveva la fronte coperta di sudore, la gola bruciava per l’arsura. Si alzò, aprì la finestra e si versò da bere. Mille immagini affollavano la sua mente, aveva bisogno di fare un po’ di ordine.
Secondo quanto affermava il mittente della missiva, un certo Johannes Marcus Marci, rettore dell’università boema, il volumetto doveva risalire al XIII secolo. Per circostanze ignote aveva salpato dall’Inghilterra, era giunto a Praga e, qui, venduto per 600 ducati all’imperatore Rodolfo II come opera ignota di Bacone. Il professore Marci, su proposta del sovrano, richiedeva l’intervento del famoso crittografo gesuita Athanasius Kircher al fine di decodificarne il misterioso significato.
Wilfred ripiegò con cura la lettera.
Dalle pagine del manoscritto le miniature sembravano reclamare la sua attenzione. A prima vista lo aveva scambiato per un semplice erbario, ma le numerose incursioni degli astri ne deviavano il senso.
Ritornò al frontespizio, voltandone rapidamente il dorso per immergersi finalmente nella lettura. Procedeva sempre così: dapprima sfiorava il volume con gli occhi chiusi, assaporando ogni attimo di quel primo contatto fisico, tra i profluvi di quella materia rugosa; poi schiudeva le palpebre e si abbandonava alla contemplazione delle immagini, soffermandosi di volta in volta sulle sinuose curve e sui vividi toni; infine, ritornava alla pagina iniziale per dare inizio allo studio vero e proprio.
Una successione di caratteri scuri si affiancavano l’un l’altro senza svelare alcun senso. Il passaggio dal significante al significato giaceva in un rigo morto. Ogni tentativo di tradurre il testo appariva vano.
Wilfred si fermò. Aveva in mano un tesoro di carta, a lungo sepolto in un vecchio monastero di provincia. Si immaginò un vecchio, ricurvo su un ammasso di fogli coperti di formule e parole, un folle, inventore di lingue mai scritte da lasciare forse ai posteri come prove del suo acuto ingegno, un genio, capace di nascondere tra coltri di erbe, secoli e stelle un segreto cifrato. Di lui non restava che un oscuro manoscritto, sopravvissuto ai secoli e al silenzio, attraverso una lingua che aveva oltrepassato la morte senza essere mai nata.

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