mercoledì 12 febbraio 2014

PAURA E DISGUSTO AD ASPEN



Woody Creek
Aspen (Colorado)
20 febbraio 2005
Ore: 17:42

La storia di Jennifer
L’abitazione nei pressi di Woody Creek non è poi così diversa dalle altre costruzioni della città in perfetta armonia con le montagne innevate e l’opulenza dei pioppi.
Per strada gli ultimi passanti si affrettano a tornare a casa. Qui il freddo della sera è davvero pungente e la strada è lasciata alle sole luci dei lampioni.
La casa di Woody Creek è illuminata. C’è una calma onirica ad avvolgere le mura, un’atmosfera irreale che non ha nulla del sogno, persa com’è nella grave sospensione del tempo. Un sentore sinistro trapela da quelle finestre, nonostante nulla appaia fuori posto.
Ma un bambino improvvisamente ride e scioglie la tensione. C’è una donna al suo fianco che lo accompagna con buffe smorfie del viso.
Nella stanza accanto un telefono sta squillando, ma la ragazza non si muove. Sa che la telefonata è per Hunter, il suocero, e quindi lascia che sia l’uomo a rispondere.
Sono quasi le 18. 
Molto probabilmente è la madre di suo marito Juan che chiama per sapere come stanno. Vuole accertarsi che nessuno abbia dato alle fiamme la casa o devastato il giardino davanti il porticato.
È una giornata ordinaria per una normale famiglia americana.
Il bambino ha ripreso in mano i pastelli e ha iniziato a disegnare un enorme dinosauro arancione in un campo di girasoli. Alla donna le brillano gli occhi davanti al prodigio della natura. In fondo è lo sguardo che ogni madre ha alla vista della propria creatura. Il suo Will ha solo sei anni e lei è già così fiera di lui.
Dalla stanza accanto giunge lontana la voce dell’uomo. È ancora al telefono e le sue parole sono come piccole folate di vento caldo.
Sorride. Sa che quella donna, quando vuole, è incorreggibile…
Cos’è stato?
Ad un tratto si blocca.
Guarda Will. Ha posato le matite e ha lo sguardo puntato sul suo viso alla ricerca di un segno rassicurante. Ha sentito anche lui.
Gli fa una carezza.
Sciocchezze! Hunter a volte è così distratto.
Gli sarà sicuramente scivolato il libro da mano…


La storia di Anita
È difficile restare lontani da casa, perché il pensiero va sempre alle persone care che credi abbiano costantemente bisogno di te. Non vuole essere ossessiva, Anita, ma il cellulare è sempre lì, nella tasca destra della giacca, per non perdere quel filo di onde elettromagnetiche che la collegano con casa.
Sono da poco passate le 17 quando decide di comporre il numero.
Sente già il trillo del telefono sullo scrittoio, quel suono acuto che irrompe tra le mura e spazza via il silenzio.
Al terzo squillo un clic segnala che il ricevitore è stato appena alzato e subito è investita dalla calda voce di un uomo.
Sorride. Lo fa ogni volta che la sente. Anche dopo così tanti anni di matrimonio.
Tutto sta andando bene lì, anche senza di lei, o così pare.
Hunter sta lavorando incessantemente a quel caso ed è fin troppo euforico, tanto da mal celare quei pensieri funesti.
Paul l’aveva telefonata quella mattina.
Hunter è spaventato. La sera prima si era sfogato con lui, mettendolo al corrente sulle sue ricerche sulle Torri e sui timori di finire male.
Anita era rimasta sconvolta.
Hunter era un uomo felice. Certo, amava bere, mangiare strani intrugli e fumare, ma non aveva mai ceduto allo sconforto.
Ora al telefono avverte tutta l’ipocrisia di quel sorriso.
Dov’è Hunter?
Ripensando alle parole di Paul, si è distratta e non si è accorta che il marito ha appoggiato la cornetta sullo scrittoio. Forse le aveva detto che andava a prendere qualche pagina appena battuta per farle sentire qualcosa…
Ma cos’era quel rumore?

La storia di Hunter
Si rigira il documento tra le mani. Lì c’è la prova che la sua vita potrebbe cambiare insieme al corso della storia. Altro che attentato! Qui era in ballo un orribile tradimento ordito alle spalle del popolo americano.
Il caso era scottante e ne sarebbe venuta fuori una storia in perfetto “stile Gonzo”.
La sera prima aveva telefonato a Paul. Sentiva di essere in pericolo e qualcuno doveva saperlo. Di lui si fidava ciecamente.
«Lo faranno sembrare un suicidio», gli aveva confessato, «so come ragionano quei bastardi…».
Poi aveva messo giù.
Anita no, doveva restare all’oscuro di quella sporca faccenda. Solo così avrebbe protetto la sua famiglia.
Lo squillo del telefono lo distoglie da quei pensieri. Fa un respiro profondo prima di sollevare il ricevitore.
Certo che stava bene, e anche i ragazzi non avevano fatto danni. La casa era sana e salva e loro incolumi.
Ride, per rassicurarla.
Anita sa tutto.
Lo capisce dal tono un po’ stridulo delle sue vocali. Quando alza la voce in quel modo è in preda ad una crisi di nervi.
Hunter la tranquillizza mettendola al corrente di ciò che ha trovato, allontanando ogni elucubrazione e mostrandole il lato più avvincente della storia. Qualsiasi minaccia di pericolo è stata omessa o stemperata.
In fondo quelle sono solo semplici fobie da vecchio scrittore paranoico che non ha imparato a prendere le distanze dalle cose del mondo…
Un gesto lento e sempre più debole accompagna il ricevitore sulla superficie dello scrittoio.
Ci vuole tempo per elaborare il distacco e capire cosa accade.
Passa una frazione di secondo tra il colpo e la predisposizione del pensiero. Il dolore, invece, arriva sempre con leggero ritardo o è talmente rapido da non avere lo spazio per manifestarsi.
La voce di Anita è sempre più lontana, mentre dalla tempia scorre un sottile rivolo di sangue.




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