Aspen (Colorado)
20 febbraio
2005
Ore: 17:42
La storia di Jennifer
L’abitazione
nei pressi di Woody Creek non è poi così diversa dalle altre costruzioni della
città in perfetta armonia con le montagne innevate e l’opulenza dei pioppi.
Per strada
gli ultimi passanti si affrettano a tornare a casa. Qui il freddo della sera è
davvero pungente e la strada è lasciata alle sole luci dei lampioni.
La casa di
Woody Creek è illuminata. C’è una calma onirica ad avvolgere le mura,
un’atmosfera irreale che non ha nulla del sogno, persa com’è nella grave
sospensione del tempo. Un sentore sinistro trapela da quelle finestre,
nonostante nulla appaia fuori posto.
Ma un
bambino improvvisamente ride e scioglie la tensione. C’è una donna al suo
fianco che lo accompagna con buffe smorfie del viso.
Nella
stanza accanto un telefono sta squillando, ma la ragazza non si muove. Sa che
la telefonata è per Hunter, il suocero, e quindi lascia che sia l’uomo a
rispondere.
Sono quasi le
18.
Molto
probabilmente è la madre di suo marito Juan che chiama per sapere come stanno. Vuole
accertarsi che nessuno abbia dato alle fiamme la casa o devastato il giardino
davanti il porticato.
È una
giornata ordinaria per una normale famiglia americana.
Il bambino
ha ripreso in mano i pastelli e ha iniziato a disegnare un enorme dinosauro arancione
in un campo di girasoli. Alla donna le brillano gli occhi davanti al prodigio
della natura. In fondo è lo sguardo che ogni madre ha alla vista della propria
creatura. Il suo Will ha solo sei anni e lei è già così fiera di lui.
Dalla
stanza accanto giunge lontana la voce dell’uomo. È ancora al telefono e le sue
parole sono come piccole folate di vento caldo.
Sorride. Sa
che quella donna, quando vuole, è incorreggibile…
Cos’è
stato?
Ad un
tratto si blocca.
Guarda
Will. Ha posato le matite e ha lo sguardo puntato sul suo viso alla ricerca di
un segno rassicurante. Ha sentito anche lui.
Gli fa una
carezza.
Sciocchezze!
Hunter a volte è così distratto.
Gli sarà
sicuramente scivolato il libro da mano…
La storia di Anita
È difficile
restare lontani da casa, perché il pensiero va sempre alle persone care che
credi abbiano costantemente bisogno di te. Non vuole essere ossessiva, Anita,
ma il cellulare è sempre lì, nella tasca destra della giacca, per non perdere
quel filo di onde elettromagnetiche che la collegano con casa.
Sono da
poco passate le 17 quando decide di comporre il numero.
Sente già
il trillo del telefono sullo scrittoio, quel suono acuto che irrompe tra le
mura e spazza via il silenzio.
Al terzo squillo
un clic segnala che il ricevitore è stato appena alzato e subito è investita
dalla calda voce di un uomo.
Sorride. Lo
fa ogni volta che la sente. Anche dopo così tanti anni di matrimonio.
Tutto sta
andando bene lì, anche senza di lei, o così pare.
Hunter sta
lavorando incessantemente a quel caso ed è fin troppo euforico, tanto da mal
celare quei pensieri funesti.
Paul
l’aveva telefonata quella mattina.
Hunter è
spaventato. La sera prima si era sfogato con lui, mettendolo al corrente sulle sue
ricerche sulle Torri e sui timori di finire male.
Anita era
rimasta sconvolta.
Hunter era
un uomo felice. Certo, amava bere, mangiare strani intrugli e fumare, ma non
aveva mai ceduto allo sconforto.
Ora al
telefono avverte tutta l’ipocrisia di quel sorriso.
Dov’è
Hunter?
Ripensando
alle parole di Paul, si è distratta e non si è accorta che il marito ha
appoggiato la cornetta sullo scrittoio. Forse le aveva detto che andava a
prendere qualche pagina appena battuta per farle sentire qualcosa…
Ma cos’era quel
rumore?
La storia di Hunter
Si rigira
il documento tra le mani. Lì c’è la prova che la sua vita potrebbe cambiare insieme
al corso della storia. Altro che attentato! Qui era in ballo un orribile
tradimento ordito alle spalle del popolo americano.
Il caso era
scottante e ne sarebbe venuta fuori una storia in perfetto “stile Gonzo”.
La sera
prima aveva telefonato a Paul. Sentiva di essere in pericolo e qualcuno doveva
saperlo. Di lui si fidava ciecamente.
«Lo faranno
sembrare un suicidio», gli aveva confessato, «so come ragionano quei
bastardi…».
Poi aveva
messo giù.
Anita no, doveva
restare all’oscuro di quella sporca faccenda. Solo così avrebbe protetto la sua
famiglia.
Lo squillo
del telefono lo distoglie da quei pensieri. Fa un respiro profondo prima di
sollevare il ricevitore.
Certo che
stava bene, e anche i ragazzi non avevano fatto danni. La casa era sana e salva
e loro incolumi.
Ride, per
rassicurarla.
Anita sa tutto.
Lo capisce
dal tono un po’ stridulo delle sue vocali. Quando alza la voce in quel modo è in
preda ad una crisi di nervi.
Hunter la
tranquillizza mettendola al corrente di ciò che ha trovato, allontanando ogni
elucubrazione e mostrandole il lato più avvincente della storia. Qualsiasi
minaccia di pericolo è stata omessa o stemperata.
In fondo
quelle sono solo semplici fobie da vecchio scrittore paranoico che non ha
imparato a prendere le distanze dalle cose del mondo…
Un gesto
lento e sempre più debole accompagna il ricevitore sulla superficie dello
scrittoio.
Ci vuole
tempo per elaborare il distacco e capire cosa accade.
Passa una
frazione di secondo tra il colpo e la predisposizione del pensiero. Il dolore, invece,
arriva sempre con leggero ritardo o è talmente rapido da non avere lo spazio
per manifestarsi.
La voce di
Anita è sempre più lontana, mentre dalla tempia scorre un sottile rivolo di
sangue.
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