mercoledì 24 luglio 2013

UNA MORTE (IN)NATURALE: Il CASO LARSSON



Expo
Sankt Göransgaton, 84
Stoccolma (Svezia)
9 novembre 2004

L’elegante palazzo di Sankt Göransgaton, sede del discusso magazine svedese, è quasi vuoto. Nell’ingresso due uomini attendono l’arrivo dell’ascensore e riempiono con i soliti discorsi il silenzio che di lì a breve dimenticheranno.
Uno dei due, sulla cinquantina, in un completo scuro spezzato dalla camicia bianca e da una cravatta a righe, guarda l’orologio. È in ritardo. L’ascensore non accenna a scendere, in tutta probabilità è guasta e il tecnico non è ancora arrivato per la manutenzione.
Non restano che le scale sulla destra.
Il sudore gli imperla la fronte.
Il suo ufficio è al settimo piano, quattordici lunghe rampe. Il numero di gradini non ha mai avuto modo di contarli.
Primo piano… Secondo piano… Terzo piano…
Si blocca. Prende fiato. È completamente madido. La camicia è incollata al corpo e gli occhiali sono tutti coperti di gocce. Maledette sigarette! Sessanta al giorno lo lasciano senza respiro.
Quarto piano…
Una fitta o, meglio, un’altra o, forse, la stessa che è ritornata. Non sa spiegarselo. Si porta una mano al petto, come per ascoltare i battiti in crescendo. Il medico glielo aveva detto che doveva staccare. Un giorno o l’altro il lavoro l’avrebbe ucciso.
Quinto piano…
Ma come poteva staccare? L’Expo aveva bisogno di lui. Meglio diminuire le sigarette e, dato che c’era, dare una regolata anche all’alimentazione non proprio mediterranea.
Sesto piano…
Una bella dormita. Ecco cosa gli serviva: una sana dormita. Concluso il dossier sui Democratici Svedesi, addio alle notti al pc in compagnia del caffè. O almeno arrivederci.
Settimo piano.
Finalmente!
Un ultimo passo.
Vede la sua scrivania, i fogli sparsi dove l’aveva lasciati, il discorso che aveva preparato per il seminario sulla Notte dei Cristalli, il computer spento, il viavai dei redattori per la stanza. Qualcuno parla concitatamente. Forse è al telefono.
Non riesce a muoversi, sente soltanto un dolore acuto al cuore.
Il pensiero va a Eva, poi chiude gli occhi.


Casa editrice Nordstedt & Söner
Stoccolma (Svezia)
Novembre 2004

Le notizie erano arrivate tempestivamente: Karl Stig-Erland Larsson era morto e la correzione del primo volume della trilogia Millennium era stata appena ultimata. A breve Uomini che odiano le donne sarebbe andato alle stampe e già si presagiva un successo strepitoso.
Che strano scherzo del destino: morire a un passo dal successo e, per giunta, nello stesso identico modo in cui muore il giornalista del terzo volume della saga, La regina dei castelli di carte.
Infarto.
Che coincidenza!
Certo, le continue minacce da parte dell’estrema destra non gli avevano fatto bene. Dieci anni di telefonate, di lettere anonime, di autobombe e scorte, di rischi a cui esponeva Eva, la sua compagna di sempre.
Il pc non si trovava. Dove poteva essere finito. All’Expo non c’era e anche i familiari dicevano di non saperne nulla, presi com’erano dalla loro bagarre ereditaria.
Eppure esistevano almeno 320 pagine del quarto volume e forse anche un quinto, un sesto. Stieg voleva fare una decalogia.
Qualcosa non quadrava.
Ci sarebbe voluto Mikael Blomkvist. Mikael Kalle Blomkvist…
Che fantasia dare al protagonista lo stesso nome del ragazzino della Lindgren, in perenne lotta con la banda della Rosa Rossa.
In effetti…
Come avevano fatto a non pensarci prima.
Stieg, profondo conoscitore delle organizzazioni criminali, tanto da collaborare persino con Scotland Yard, era entrato in contatto anche con il mondo esoterico fino a trasformare la lotta al crimine nel senso autentico della sua vita.
Se il partito neonazista lo combatteva a viso aperto, quale espediente migliore della fiction narrativa per contrastare la forza occulta delle organizzazione massoniche? E quale peggior ordine esisteva di quello che sotto la bellezza della rosa scarlatta celava il sacrificio umano?
La sua data di morte – 9/11/2004 – aveva un significato. Simbolico.  Cambiando l’ordine degli addendi il risultato non cambia: otto, la giustizia.
Qualcuno aveva capito e perciò aveva avuto paura. Qualcosa era stato scritto o poteva essere fatto. Meglio tappargli la bocca senza lasciare traccia. Doveva essere una morte naturale. Un isotopo del polonio poteva essere fatale. Solo l’autopsia avrebbe potuto smascherare il piano.
Per chi si rintana nei libri, come un editore, uno scrittore o semplicemente un lettore, la fantasia rischia di far perdere il senso del reale. Ma si sa, a volte, la realtà supera di gran lunga l’immaginazione.

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